La mia prima India

tratto da:
Yoga Journal
Rivista di yoga – Aprile 2010
intervista di Emina Cevro Vukovic

Sbarcai all’areoporto di Delhi, nel 1982, alle quattro del mattino. Era ottobre e all’uscita dell’aereo mi investì un caldo afoso tale che io pensai fosse lo scarico del motore dell’aereo. Frastornata, stanca, accaldata e a piedi (non c’era servizio bus), mi incamminai lungo la pista.
Dentro l’areoporto mi attendeva un’ora buona di pratiche burocratiche, timbri su timbri, una quantità incredibile su altrettante carte. La mia irritazione cresceva. Quando fui finalmente fuori cercai un taxi, all’epoca erano tutti Millecento nere. Ne trovai uno e partimmo.

Lungo la larga avenue che collega l’areoporto alla città la vita si stava svegliando: canti di uccelli, voli di cornacchie, latrati di cani, un’umanità che cominciava a muoversi nelle bidonville, con gesti intimi fatti all’aperto nella luce ancora radente. Il taxista procedeva in questo modo: prima, seconda, terza, quarta e una scivolata con il motore spento. Poi ancora prima, seconda, terza, quarta e via a motore spento. Dopo una quindicina di minuti la macchina si fermò del tutto, lui scese, cominciò ad armeggiare a cofano aperto, gesti apparentemente senza senso.

Stanca e sudata mi immaginavo condannata a chissà quali attese. L’autista dopo un po’ chiuse il cofano, si passò le mani unte di grasso del motore sui capelli, un gesto lungo e soddisfatto. Disse: “ready” e partimmo.

Pensai: “Ok, qui tutto è possibile“. E lasciai andare la mia irritazione, capendo che ero arrivata in una terra unica e straordinaria. Da allora per me, l’India rimane il luogo dove tutto è possibile, il luogo della mia anima, dove ho studiato e praticato negli ashram”.

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